La crisi innescata dall’emergenza Covid-19 sta spostando l’obiettivo di investimento di molti operatori di private debt che sino a poco prima avevano finanziato le pmi sottoscrivendo minibond a supporto di specifici progetti di sviluppo industriali”, ha detto a MF Milano Finanza Innocenzo Cipolletta, presidente di AIFI (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt).
Ora, infatti, in primo luogo sta aumentando l’attività dei fondi di private debt e direct lending al fianco dei fondi di private equity, per supportare acquisizioni, erogando prestiti, anche di tipo mezzanino, subordinato o convertibile, che si vanno ad affiancare alle linee senior messe a disposizione dal sistema bancario. Ma soprattutto, in secondo luogo, sta aumentando la propensione al rischio di alcuni degli operatori di private debt tradizionali, che sono disposti a finanziare le pmi in questo momento di difficoltà, quindi non per supportare piani di sviluppo, ma per permettere loro di continuare a produrre e vendere nonostante i lockdown a intermittenza e quindi per evitare che queste aziende ancora in bonis passino tra i crediti classificati come Utp nei portafogli delle banche.
Un’evoluzione che si vede chiara anche nei numeri. BeBeez Private Data ha calcolato che da inizio anno a oggi il settore abbia finanziato pmi italiane per 11,7 miliardi di euro contro i 12,65 miliardi erogati in tutto il 2019 (si veda qui il Report Private Debt 2019, disponibile per gli abbonati di BeBeez News Premium), un dato quindi che indica una grande attività da parte degli investitori così come l’anno scorso. Ma il mix di strategie di investimento è cambiato.
Nel 2019, infatti, poco meno della metà della finanza era arrivata alle imprese attraverso sottoscrizioni di bond e i dati erano fortemente influenzati da una operazione di acquisizione di crediti in bonis sul secondario, condotta da Anacap, che da sola valeva 4 miliardi di euro, oltre a qualche acquisto di Utp corporate e una buona attività sulle piattaforme fintech. Per contro, quest’anno le emissioni di bond hanno un peso inferiore (in totale poco più di 3 miliardi), mentre un vero boom si è avuto sul fronte delle cartolarizzazioni di crediti in bonis, anche su piattaforme fintech, arrivate a quota 4,6 miliardi contro poco più di un miliardo in tutto il 2019. Inoltre, si sono moltiplicate le operazioni dl direct lending e gli acquisti di crediti hanno riguardato soprattutto Utp corporate single name, per un ammontare lordo rilevante (quasi 2 miliardi).
A questo proposito va sottolineato che a oggi c’è un grosso tema rappresentato dai 300 miliardi di euro di crediti per i quali erano state chieste le moratorie a partire dalla scorsa primavera e per i quali la moratoria è scaduta a fine settembre. Non è dato sapere al momento quanti di questi crediti si trasformeranno in Utp o addirittura in Npl, ma l’aspettativa del mercato è che questo accadrà a una buona fetta delle aziende coinvolte. Per questa ragione molti investitori specializzati stanno ragionando sull’opportunità di andare a rifinanziare quei debiti in questa finestra temporale. Il tutto, magari, anche al fianco di operatori di private equity di turnaround o operatori specializzati nell’acquisizione di Utp corporate.
Come già segnalato nelle ultime settimane da MF Milano Finanza e BeBeez, gli operatori sul segmento di mercato Utp corporate si stanno moltiplicando (si veda qui l’Insight View di BeBeez del 19 ottobre, disponibile per gli abbonati di BeBeez News Premium) e si vanno ad aggiungere a un nutrito numero di operatori di private debt. A fine settembre 2020 gli associati italiani di AIFI attivi nel private debt avevano già raccolto un totale di ben 2,65 miliardi di euro dagli investitori destinati all’Italia, a cui si aggiunge una quota della raccolta dei fondi europei di credito con particolare focus sul private debt italiano. Il tutto senza contare i numerosi fondi che lavorano sulla parte a breve del ciclo del credito e dedicati all’acquisto diretto di fatture commerciali o di note di cartolarizzazione di fatture, che hanno a loro volta un ruolo importante nel supporto alle pmi in questo momento difficile, visto che una riorganizzazione adeguata dei flussi di cassa è in grado di generare liquidità importante.
Tuttavia resta vero che stiamo parlando ancora di un numero molto limitato di attori rispetto alla mole di crediti deteriorati o in via di deterioramento da affrontare. Sarebbe interessante, invece, che nascessero molti più operatori di questo tipo, ma perché questo accada è necessario che nuovi team di gestione siano in grado di raccogliere a loro volta capitali da investitori terzi.
Per questo motivo nei giorni scorsi AIFI è entrata nel dibattito sul Fondo Patrimonio Destinato, cioé il fondo da 44 miliardi di euro varato dal Decreto Rilancio lo scorso maggio e che sarà gestito da Cassa Depositi e Prestiti con l’obiettivo di ricapitalizzare le medie e grandi imprese italiane, in difficoltà per colpa dell’emergenza Covid-19. Ricordiamo però che la norma di legge stabilisce che gli interventi del Patrimonio Destinato hanno per oggetto soltanto società per azioni con un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro.
In questo contesto AIFI ha proposto al governo di costituire un fondo di fondi a capitale prevalentemente pubblico per rilanciare le pmi italiane (si veda altro articolo di BeBeez). “Soltanto investitori specializzati sono in grado di distinguere quali aziende hanno le potenzialità di riprendersi davvero e quali invece no. Il rischio è che si vadano a investire capitali, siano questi nella forma di equity o debito, su aziende che purtroppo non hanno già più la possibilità di rialzarsi”, ha detto a MF Milano Finanza il presidente di AIFI Innocenzo Cipolletta, che ha aggiunto: “Per questo motivo riteniamo che lo strumento del fondo di fondi sia la soluzione migliore da adottare per convogliare sulle pmi italiane i capitali del Patrimonio Rilancio del MEF”.
Per accedere a una platea larga di pmi, ha aggiunto però Cipolletta, “sarebbe necessario rivedere il dispositivo di legge che limita l’impegno a imprese con un fatturato superiore a 50 milioni e rendere possibile una soglia più bassa (30 milioni) per gli investimenti indiretti, come sono quelli di un fondo di fondi”.
Come già segnalato da BeBeez nella sua Insight View dello scorso 26 ottobre (disponibile per gli abbonati di BeBeez News Premium), un punto cruciale per il mercato è capire in che termini Cdp coinvolgerà gli attori del private capital sul Fondo Patrimonio Destinato, visto che la normativa prevede il “coinvolgimento anche delle società di gestione del risparmio italiane per evitare ogni possibile effetto di spiazzamento del settore del private capital“. Una frase, quindi, che lascia spazio a moltissime ipotesi di collaborazione con i privati, che sono ancora tutte da declinare e, per capire esattamente, come, ci vuole il decreto attuativo. Che al momento non è ancora arrivato. Intanto il mercato, già prima della proposta formale di AIFI, si era già mosso sottoponendo al Ministero dello Sviluppo Economico e a Cdp una serie di proposte, che nella sostanza vedrebbero Cdp ancor investor di una serie di nuovi fondi dedicati al restructuring.