Una costituenda cooperativa di dipendenti di Grotto spa, la società che detiene il marchio di jeans Gas, potrebbe rilevare il 10% della società da Claudio Grotto, socio maggioritario al 65%, che intende regalare parte della sua quota (si vedano qui MF MIlano Finanza e qui NordestEconomia).
La partecipazione dei dipendenti al salvataggio di Gas è subordinata al via libera al piano concordatario da parte dei creditori chiamati in adunanza il prossimo 20 maggio. Il piano è stato depositato il 4 febbraio. E su quello che ne pensano i creditori al momento c’è uno stretto riserbo.
Lo snodo critico è in particolare convincere i creditori finanziari e cioé AMCO, che aveva ereditato i crediti deteriorati delle due banche venete, e il fondo Dea Capital CCR I, gestito daDea Capital Alternative Funds sgr, che nel 2017 aveva acquistato dalle banche creditrici i crediti a medio-lungo termine di Grotto, insieme ai crediti di altre otto aziende (Canepa, Snaidero, Calvi, Pieralisi, Biokimica, Trend Group, Consorzio Latte Virgilio e Zucchi, si veda altro articolo di BeBeez). Il tutto, tenendo presente il fatto che Unicredit, Intesa, Mps e UBI Banca hanno in pegno le azioni Grotto a garanzia dei finanziamenti erogati alla controllante Luna srl. Oggi l’indebitamento complessivo ammonta a 53,7 milioni di euro: di cui 34,5 sono in mano al fondo di Dea Capital, 12,7 milioni ad AMCO e 6,5 milioni fra MPS, Intesa, Unicredit e BPM.
In realtà questo è un terzo tentativo di accedere a una procedura concorsuale per Grotto. Ricordiamo che la società già nell’ottobre 2018 aveva siglato con i finanziatori un’intesa per la ristrutturazione del debito, che prevedeva la trasformazione di parte dei crediti in strumenti partecipativi e l’iniezione di 4 milioni di euro di nuova finanza, di cui una parte proveniente dalla famiglia Grotto (si veda altro articolo di BeBeez). Il debito già allora era in mano ad AMCO (allora ancora SGA) e al fondo CCR I, con le banche che avevano a loro volta già in pegno le azioni Grotto a garanzia dei finanziamenti erogati alla controllante Luna srl. Si parlava allora di un’esposizione complessiva di 50-60 milioni di euro.
L’operazione non era però poi andata a buon fine e Grotto aveva richiesto al Tribunale di Vicenza l’ammissione al concordato in bianco nel giugno 2019 (si veda altro articolo di BeBeez e qui il decreto del tribunale). All’epoca, la società aveva confermato l’interesse di alcuni investitori a entrare nel gruppo immettendo nuova finanza e avviato un piano di rinnovamento aziendale per consolidare la redditività e il posizionamento dell’azienda nel suo settore, che prevedeva la razionalizzazione dei canali distributivi e dei costi. Grotto è stata poi ammessa al concordato preventivo in continuità nel novembre del 2019.
Successivamente, però, gli obiettivi del piano si sono rivelati troppo ambiziosi vista l’emergenza Covid-19 e la società ha chiesto e ottenuto dal tribunale la possibilità di presentare un nuovo piano concordatario, che appunto è stato depositato a inizio febbraio. Nel frattempo però l’accordo con il soggetto industriale che inizialmente avrebbe dovuto ricapitalizzare la società non si è mai concretizzato e con il nuovo piano la famiglia Grotto resterebbe socia di riferimento con il 90% e i dipendenti appunto avrebbero il restante 10%.
“Nello scenario di una società rilanciata tra cinque anni, che si trovi a valere 15-20 milioni, quel 10% avrebbe un recupero di rilievo”, ha dichiarato Cristiano Eberle, commercialista che guida la società dal 2019. Al momento hanno sottoscritto una lettera di impegno 60 dei 180 dipendenti dell’azienda, ma il loro numero è destinato a salire.
Questo nuovo piano si regge in particolare sulla deliberazione di una azione di responsabilità, votata dalla stessa famiglia Grotto. La causa civile è nei confronti di Enrico Acciai, Claudio Grotto, la figlia Barbara, i fratelli Giuseppe e Roberto, come membri del cda, ma anche del collegio sindacale, dei revisori di Ernst&Young e dei consulenti Roland Berger e Mediobanca, per i piani di risanamento che avrebbero solo peggiorato la situazione patrimoniale (tra 2015 e 2019 di 25 milioni di euro). Gli ulteriori possibili incassi dell’azione di responsabilità saranno offerti ai creditori.
Il piano concordatario inoltre propone ai creditori chirografari la restituzione del 20%, ridotta rispetto a una previsione pre-Covid del 30%. Eberle però ha sottolineato: “Intendiamo dare al ceto creditorio il massimo grado di soddisfazione, che per ora è prudenziale perché non comprende lo sviluppo internazionale dal quale stiamo avendo dei primi risultati che speriamo di confermare. Noi diciamo che quella è la quota che riusciamo a pagare. Ma il piano non considera ulteriori possibilità che possono venire dagli ingressi sui mercati di Russia, Stati Uniti, Cina ed Est Europa. Stiamo entrando in punta di piedi, ma abbiamo già fatture di vendita nei primi due mercati: non è un sogno”.
Gas è stata fondata nei primi anni ’70 da Claudio Grotto a Chiuppano (Vicenza). Dal 1984 disegna, produce e distribuisce collezioni di abbigliamento, calzature ed accessori per uomo, donna e bambino con il marchio Gas. Il denim è il core business dell’azienda. A partire dal 2005 la società ha intrapreso un progetto di riposizionamento del marchio, imperniato su una forte espansione in Europa e Asia: oltre all’apertura di negozi e flagship store, la società ha affiancato al quartier generale italiano sei nuove filiali in Europa (Spagna, Germania, Austria, Francia, Regno Unito ed Ungheria) e tre in Asia (Hong Kong, Shanghai, Giappone). Investimenti che sono stati tuttavia penalizzati dalla crisi del 2008. Attualmente la società sta aprendo nuovi mercati: Cina, Russia e Usa.
“Nel 2020, anno di crisi a causa dell’emergenza sanitaria e in particolare per il settore della moda, Gas ha chiuso il bilancio con 26 milioni di fatturato, 1,5 milioni di ebitda e tra i 6 e i 7 milioni di cassa. Abbiamo ottenuto questi risultati continuando a tagliare attività e riducendo costi. Il tutto senza agevolazioni, perché essendo in concordato la società non può usufruire delle misure governative, eccezione fatta per la Cig”, ha detto al Giornale di Vicenza Cristiano Eberle. Nel dicembre 2020 la societò ha riconvertito la produzione da abbigliamento a mascherine sanitarie per salvare i posti di lavoro (si veda Vicenza Più).