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Da inizio anno a oggi sono stati annunciati 7 round di investimento in società del settore per un totale di 343 milioni di euro raccolti e di questi ben tre sono di dimensioni uguali o superiori ai 70 milioni di dollari. Un dato che arriva dopo un 2020 difficile, in cui comunque startup e scaleup italiane o fondate da italiani hanno incassato 35 round per un totale di 247 milioni di euro nel 2020, dopo che gli investimenti di venture capital nel settore erano stati 261 milioni di euro nel 2019 e circa 200 milioni del 2018 (si veda qui il Report Fintech BeBeez 2020 disponibile per gli abbonati a BeBeez News Premium). I 247 milioni di euro raccolti dalle fintech nel 2020 rappresentano poco meno di un terzo di quanto raccolto da tutte le startup italiane o fondate da italiani nello stesso periodo, cioè 780,5 milioni (si veda qui il Report Venture Capital di BeBeez 2020, disponibile per gli abbonati a BeBeez News Premium).
Ma che cosa chiedono gli investitori dai founder delle fintech? Quali sono le variabili chiave che convincono chi ha i capitali a scommettere sul futuro di una startup o di una scaleup del settore? Se ne è parlato con alcuni dei protagonisti del fintech italiano lo scorso giovedì 18 marzo al webinar organizzato da Assofintech e moderato da Stefania Peveraro, direttore di BeBeez (clicca qui per vedere il video).
Antonio Valitutti, ceo di Hype, ha raccontato la storia di Hype e della prima grande operazione italiana di aggregazione nel settore fintech, che ha visto Hype trasformarsi in una joint venture tra Banca Sella e Illimity (si veda altro articolo di BeBeez). Nato all’interno del gruppo Sella, in un contesto di open innovation, il progetto è cresciuto in maniera importante: “A fine 2019 avevamo un milione di clienti retail in Italia e oggi ne abbiamo un 1,4 milioni. Per sostenere la crescita e arrivare a modello di business profittevole dovevamo continuare a investire e quindi trovare capitali”, ha detto Valitutti, aggiungendo: “Per questo motivo abbiamo iniziato a trattare con fondi di venture capital. Certo, appunto, alla ricerca di capitali, ma anche di un confronto esterno alla banca nella quale eravamo nati, perché in questo mercato c’è una grande esigenza di contaminazione delle idee. Nel frattempo abbiamo incontrato Illimity che ha gli stessi nostri obiettivi di crescita nel segmento retail e la volontà di costruire un operatore rilevante nel mercato per cui alla fine abbiamo scelto di proseguire con loro”.
Valitutti ha poi sottolineato che alla valutazione di Hype sulla base della quale è stato concluso il deal con Illimity per metà ha contribuito quanto già Hype effettivamente era e per un’altra metà quello che sarà. “Quando abbiamo iniziato a parlare con Illimity, Hype era già a uno stadio maturo, nel senso che aveva già fatto un percorso che l’aveva portata ad efficientare in maniera importante i costi e in particolare il costo di acquisizione dei singoli clienti e il costo per servire i singoli clienti. Se avessimo usato i processi della banca tradizionale non saremmo mai arrivati a questi numeri. Illimity ha quindi tenuto in conto tutto questo, così come ha tenuto del fatto che avevamo già una chiara struttura dei ricavi, basati su canone mensile per servizi, ricavi da transazioni, visto che siamo un Istituto di pagamento, e ricavi da collaborazioni con altre società nell’ambito dello sviluppo di servizi di open banking”. Su questa base si sono innestate poi le previsioni di ulteriore crescita sia del numero dei clienti sia della redditività per singolo cliente.
Roberto Nicastro, co-founder Aidexa, a sua volta ha raccontato che la ragione per cui Aidexa è nata “è colmare un gap di mercato, che è quello che non esisteva una banca che servisse le piccolissime imprese in maniera efficiente e veloce. E creare una banca di questo tipo da zero, che utilizzasse le nuove tecnologie, insieme a finanziatori che fornissero sì capitali, ma anche supporto strategico”. Abbiamo raccolto 48 milioni e siamo sul mercato da due mesi con un primo prodotto che è di instant lending e ora dobbiamo portarlo ai clienti. Di fatto abbiamo costituito una Spac privata, perchè nella pratica ai nostri investitori stavamo chiedendo quello che di solito chiedono i promotori di una Spac, ma con la differenza che non stavamo andando a comrpare una società già strutturata, bensì chiedevamo di investire su un progetto, che aveva bisogno di tre anni per arrivare al breakeven. Per questo motivo non aveva senso quotarsi come una vera Spac”. Quanto ai capitali raccolti, Nicastro ha ricordato che “ai circa 45 milioni iniziali si sonopoi aggiunti 2,5 milioni di euro di Mediocredito Centrale, portando quindi la cifra raccolta a 48 milioni. E’ una cifra importante, ma che era necessaria perché io e il mio socio volevamo creare sin da subito una fintech ma con licenza bancaria. In primo luogo perché ci rivolgiamo a piccolissimi operatori con un modello di business tutto digitale e quindi molto nuovo e diverso da quello tadizionale e quindi volevamo presentarci con una veste chiara e facile da capirea, cioè appunto come una banca. In secondo luogo, c’è la questione del funding. Oggi c’è liquidità sul mercato, ma a volte ssuccede che la liquidità si restringe moltissimo e inquei momenti è criciale poter disporre di liquidità da erogare senza dover andare sul mercato all’ingrosso a cercarla. Infine credo che le fintech che si occupano di gestione del risparmio e di credito si avvicinino molto a tematiche di rischio sistemico. E per questo mi aspetto che un domani la regolamentazione toccherà anche questi soggetti, magari in una forma meno rigida, con minori costi di compliance, ma mi aspetto che la regolamentazione arriverà. Infine, secondo me in questo settore di aver sufficiente capitale anche per il caso in cui il progetto non funzioni. Certo, chiedere così tanto capitale sin da subito è un costo importante per i fondatori, perché c’è un tema importante di diluizione. Dal nostro punto di vista, chiedere meno capitali in prima battuta e poi fare dei round successivi permette ai fondatori di diluirsi a valutazioni crescenti. Ma noi abbiamo preferito chiedere tutti i capitali necessari nel nostro round seed per tutte le ragioni che ho espresso prima”.
Quanto al business plan di Aidexa, Nicastro ha ricordato che “i costi principali sono di quattro tipi: gli investimenti IT, che sono comunque una frazione di quello che dovrebbe fare una banca incumbent per fare le stesse cose, fare innovazione per una fintech può costare da un decimo a un centesimo di quanto costa a una banca tradizionale; il costo delle persone, poche ma di talento; il costo del go-to-market e di origination; il costo del rischio. Quanto ai ricavi, sono dati oggi dalle fee del cliente diretto e poi in prospettiva forse da un’evoluzione del business model anche sul fronte B2B. Molte fintech che all’inizio puntano direttamente sul cliente finale, poi si accorgono di essere emolto brave e quindi offronto la loro tecnologia agli incumbent”.
Sul tema della valutazione è tornato Emanuele Levi, general partner 360 Capital Partners, che nel suo track record ha investimenti come quello nella francese Leechi/MangoPay (in cui ha investito a fine 2010 e che ha poi ceduto a fine 2016 ad Arkea), quello nella proptech italiana Casavo (in cui ha investito 500 mila euro in fase super-seed nel 2017 e che di recente ha incassato un round da ben 200 milioni di euro); e quello più recente proprio in Aidexa. “Bisogna cancellare il mito della valutazione. Il vero tema è la diluizione dei founder, è su questo che si basa la trattativa. Quello che ci deve convincere è il team dei fondatori. Spesso quando interveniamo abbiamo molti pochi dati reali sui quali basarci, non abbiamo KPIs e quando anche ci sono non sono a scala e quindi non sono significativi. Quindi alla fine il punto vero sul quale ci concentriamo nell’analisi è la capacità dei fondatori e la loro visione a lungo termine, la loro forte volontà di portare rottura nel mercato e le dimensioni di quel mercato. Ci capita spesso di vedere progetti il cui mercato potenzialmente aggredibile è troppo piccolo, cosicché il business sarebbe poi difficilmente alienabile a terzi. Dal giorno uno, invece, bisogna che il team mostri sensibilità al modello economico e alla creazione dei flussi di cassa. E quanto alla regolamentazione, se non c’è non è problema. Certo è un rischio, ma è lì, in assenza di regolamentazione, che la diruption può essere più potente”.
Anche Michele Novelli, partner di Digital Magics, incubatore quotato all’Aim Italia che oggi nel suo portafoglio conta ben 25 startup e scaleup fintech, tra cui Prestiamoci, la piattaforma di P2P lending ai privati che è stato il pioniere del mercato in Italia, ha ricordato che “praticamente mai le società nelle quali abbiamo investito hanno poi seguito esattamente il business plan che ci avevano sottoposto. Di solito ci vuole sempre più tempo e più denaro, ma accade perché i piani sono ambiziosi e lo devono essere, fa parte del gioco. Anzi. Un investitore valuta un founder anche dalla sua ambizione e visione, non apprezzo un piano che non sia ambizioso e quindi anche la possibilità che non possa essere raggiunto. Abbiamo alcune startup che si stanno muovendo molto bene su quello che era il modello di business iniziale ma che poi hanno ampliato il modello. Spesso da modelli che avevano il cliente finale come target sono passate a offire servizi B2B. E’ molto raro che una socieetà vada esattamente sul suo piano che ha presentato, visto che noi investiamo in fase super iniziale. Siamo abituati, non ci spaventa e riporta l’attenzione sul team e sulla sua capacità di trasformarsi”.
Qui di seguito gli intervenuti al webinar Assofintech:
Saluti e introduzione
Maurizio Bernardo, Presidente Assofintech
Il business plan per una startup fintech (scarica qui la presentazione)
Roberto Moro Visconti
Professore associato di Finanza Aziendale, Facoltà di Economia, Università Cattolica
di Milano e membro del comitato scientifico Assofintech
Tavola rotonda
modera Stefania Peveraro, direttore responsabile di BeBeez
e membro del comitato direttivo di Assofintech
La storia di Hype-Fabrick, prima grande operazione italiana
di aggregazione nel settore fintech
Antonio Valitutti, ceo Hype
Come si crea da zero una challenger bank e come ci si presenta agli investitori
Roberto Nicastro, co-founder Aidexa
Esperienze da investimenti fintech: le variabili chiave care agli investitori
Emanuele Levi, general partner 360 Capital Partners
Come si costruisce un portafoglio di startup fintech
Michele Novelli, partner Digital Magics
Conclusioni
Fabrizio Barini, segretario generale Assofintech
Qui di seguito i video dei precedenti webinar Assofintech moderati da BeBeez: